Gli Angeli Custodi
del dott. Emiliano Cirillo
Giornalista Rai
Scatti forti e penetranti, carichi di suggestione. Momenti intensi e forti, intrisi di emozione. Volti immortalati, ruvidi, alternati a sguardi freschi e spensierati. Una vecchietta scruta il suo passato, con occhi lividi e rugosi. Guarda ammirata quelli della nuova generazione. Gli scatti di Alfonso delli Carri colgono la forte contraddizione popolare trasmessa dalla festa del Corpus Domini in Orsara di Puglia (FG).
Il confronto è fra vecchio che tramonta e il nuovo che avanza. Fra quanti hanno visto scorrere per svariati decenni i momenti più intensi della festa, alla quale in passato hanno dato un notevole contributo di partecipazione.
Oggi quella degli anziani di Orsara è una presenza solo simbolica, storica, quasi istituzionale.
Vivono la festa senza coinvolgimento. Qualcuno è solo, seduto sui gradini di casa, altri sono affacciati al balcone. Altri ancora sono in gruppo, sempre seduti a raccontare qualcosa davanti all’uscio delle abitazioni.
E guardano con ammirazione i ragazzini vestiti con saio di colore bianco, il colore della purezza.
Popolano le strade e prendono parte attivamente alla processione. Sono diventati loro i protagonisti della nuova ribalta.
Le fotografie di Alfonso delli Carri sembrano voler segnare il passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo. E Orsara vive la festa nel Corpus Domini con pacatezza e sobrietà, nel massimo rispetto della tradizione che nel tempo ha sempre caratterizzato il momento di culto popolare. La processione attraversa il paese, la gente è affacciata alle finestre, i balconi sono tappezzati con panni esposti davanti agli occhi di ognuno.
Quei panni, stesi secondo la tradizione e che fanno bella mostra al passaggio della processione del Corpus Domini.
E’ il culmine della festa di Orsara. La processione va, avanza, contamina la gente, cammina fra le strade, abbraccia tutti e tutti sono partecipi. Si avvia con morbido passo verso la chiesa madre, dove c’è una folla in attesa, sui quattro lati della piazzetta. Sale la suggestione, il momento è di quelli forti, da vivere con passione e intensità.
Orsara è tutta lì, i più giovani partecipano con uno spirito più intenso e profondo.
Gli anziani guardano e ammiccano, pensano ai loro tempi, alla loro gioventù, quando a indossare quei sai di candido colore erano proprio loro.
Oggi sono spettatori del tempo che sfugge, i loro sguardi incrociano quelli più freschi dei più giovani.
La processione va.
Il giorno degli Angeli
presentazione
dell’Avv. Michele Clima Presidente Italia Nostra Sezione di Foggia
Una mostra sul Corpus Domini nel periodo di Natale?
Per me che ho un’anima di presepista e sono abituato a ripetere ogni anno il “rito scenografico della Grotta”, essere invitato a presentare un lavoro sul “Corpus Domini” (Corpo di Cristo) è sembrato, in un primo momento, una provocazione e subito dopo si è invece rivelata semplicemente la ratio che dovrebbe muovere ogni presepista: “incarnare Dio nella terracotta dei suoi pastori”.
Ma come può raccordarsi un evento di natura pasquale con la nascita del nostro Signore?
L’oggetto della mostra delle fotografie di Alfonso delli Carri, che conoscevo gia da alcuni anni, è la processione del Corpus Domini di Orsara Di Puglia in seno alla quale un nutrito gruppo di ragazzini, candidamente paludati di bianco, attraversano il paese per ricevere la loro prima comunione.
Come presepista dovrei essere ferrato in anacronismi e sfasature spazio-temporali, dal momento che il luogo del presepio è il non-luogo per antonomasia, dove il tempo non esiste, infatti il Redentore nasce in una grotta che si può ambientare in una Foggia ottocentesca così come in una Betlemme dell’anno zero senza la paura di commettere un errore.
L’avvicendarsi delle stagioni sembrerebbe argomento superato o anacronistico, visto che “non esitono più le stagioni!”
Ma l’uomo, così come gli animali e i vegetali, che…che se ne dica (o se ne faccia) non può fare a meno di rapportarsi ai ritmi ancestrali della natura.
Certamente l’uomo moderno ha la grande presunzione buonista di fare hamburgers sufficienti a sfamare l’umanità più uno, magari inquinando l’impossibile, e la contemporanea cattiveria di affamare tre quarti del mondo.
Sicuramente ci siamo assuefatti a vedere sulle nostre tavole frutta e verdura esotica quattro stagioni all’anno.
Viviamo un’estate “eterna” alternando vacanze lampo ai tropici e all’equatore.
Simuliamo ripetutamente i tramonti nei megamercati giapponesi, solamente perché qualcuno ha verificato la maggiore disposizione al consumo in quel preciso momento del giorno.
Tutto questo avviene nelle dinamiche che sfuggono e prescindono dalla volontà del semplice “uomo della strada”.
Ma se riflettiamo un attimo sulla microstoria che ci appartiene non abbiamo difficoltà a riscontrare che i nostri costumi sono ormai modificati fino all’inverosimile, se paragonati con quelli dei nostri avi di soli cento anni or sono.
Allunghiamo incredibilmente la nostra giornata grazie all’uso della luce elettrica, magari sottraendo numerose e necessarie ore di sonno al nostro organismo. Non temiamo più quelle stagioni né per il freddo dell’inverno, né per il caldo dell’estate, visto che abbiamo a disposizioni eserciti di termosifoni e condizionatori.
La pioggia ci fa sorridere, salvo sprofondare nel panico delle alluvioni, delle frane e degli smottamenti, sempre più frequenti e sempre dovuti al cattivo uso e sfruttamento del territorio. Non abbiamo alcun timore di patire la fame, né che le nostre riserve di cibo, sempre sovrabbondanti, possano deteriorarsi ed andare a male, dal momento che possiamo raffreddare, riscaldare, congelare, surgelare a nostro piacimento, salvo buttare nella pattumiera sempre tanto e di più.
Quanto detto spiega facilmente il rapporto falsato che l’uomo di oggi ha con la natura, i suoi saperi e i suoi tempi.
Il tempo è una convenzione e la sua organizzazione non è mai stata cosa facile. Il ciclo giorno notte e quello delle stagioni per secoli, forse per millenni sono stati l’unica realtà concreta di confronto per l’uomo.
Il calendario è il sistema convenzionale di calcolo del tempo, che da un nome ai periodi di tempo.
Già gli antichi romani, con la riforma di Numa Pompilio, adeguarono il loro calendario a quello solare, aggiungendo ai dieci mesi esistenti quelli di Gennaio e Febbraio.
Facevano iniziare l’anno con il mese di Gennaio (Ianuarius), che prendeva il nome dal Dio Giano, divinità preposta alla custodia delle porte, e più in generale ai passaggi e ai mutamenti.
L’anno romano si concludeva con la chiusura del ciclo delle stagioni con il mese di Dicembre (il “decimo” mese del vecchio calendario romano).
Il Calendario liturgico cristiano, invece, ha lo scopo di contenere le norme liturgiche che disciplinano praticamente le ricorrenze e le celebrazioni liturgiche di tutti i giorni dell’anno.
Quando questo particolare calendario si sovrappone a quello delle stagioni e della vita sulla terra, addirittura pare sovvertire l’ordine dei fattori temporali e la “consecutio temporum”. Tanto è vero che nell’arco dell’anno solare, dopo il Carnevale e le Ceneri, con la venuta della primavera il calendario liturgico celebra la Pasqua. Solo dopo cade l’evento del Corpus Domini: Corpo del Signore, ovvero l’istituzione dell’eucarestia. Quindi alla fine dell’anno, il 25 Dicembre, giunge la celebrazione della Nascita di Gesù.
Ma come può, per il calendario liturgico, risorgere il Cristo se prima non è nato e quindi non è ancora morto?
Facendo i conti con questa “sfasatura” temporale mi appare opportuno cogliere la favorevole occasione per riassumere in uno il segno del Cristianesimo, pure se in maniera anomala, sovrapponendo arbitrariamente Natale e Pasqua in una Mostra che nel periodo della nascita annunzia la morte del Signore, la Pasqua, la resurrezione e quindi il Corpus Domini .
Del resto il Cristo non muore! Finisce unicamente il suo corpo (Corpus Domini), quella parte umana del Dio che ha scelto di venire sulla terra per “incarnare il verbo”.
Solo quella parte risorgerà dopo la morte procurata al Dio dallo mano dell’uomo.
Tutto ciò si compie per dare allo stesso uomo, carnefice del suo Dio, la possibilità di salvezza. Per fare ciò Dio si serve del più fidato Apostolo, dell’Apostolo più umano e quindi maggiormente peccatore, Giuda…il Traditore (= colui che consegna).
L’uomo ha bisogno di conoscere e toccare il suo Dio, ha bisogno di tradirlo e di ucciderlo, di vederlo morire e risorgere per poter immaginare anche la propria resurrezione e la propria salvezza.
Cristo non muore! Addirittura potremmo dire che si limita a nascere e rinascere ogni anno. Nasce e basta!
Il concetto di immortalità della umanità trova un senso compiuto nella Tradizione (dal verbo latino tràdere = consegnare, trasmettere): il vecchio che tramanda il suo patrimonio al giovane.
Quest’ultimo conservando la memoria degli insegnamenti degli anziani rende immortale il patrimonio culturale dell’intera comunità.
Tradire l’insegnamento della tradizione equivale per l’uomo al suicidio o all’omicidio, è contronatura e blasfemo.
Le fotografie di Alfonso hanno il valore di un’indagine antropologica che sfonda le barriere spazio temporali ed apre una porta, un passaggio alchemico nello spazio e nel tempo dell’uomo.
I volti e i corpi degli anziani sono sereni, rilassati, fissi ed esibiscono i segni del tempo su di loro prodotti… sono spettatori ed attori ad un tempo. Gli angelici corpi dei ragazzi si muovono per le vie del natio borgo attenti al rito e pur distratti dalla presenza ingombrante (allora ancora inusuale) della macchina fotografica.
Sullo sfondo le quinte della rappresentazione fatte di pietre, di intonaci scalcinati, di porte scolorite, di scale ripide e per contraddizione pure di lenzuola e coperte ricamate. In primo piano i protagonisti sono i ragazzi dubbiosamente nascosti dietro il foglietto della messa e le ragazze pudicamente adorne del velo delle suore.
Stringono tra le mani il crocifisso aggrappati al cordone del saio bianco e scortano amorevolmente in processione il Corpo del Signore nell’ostensorio protetto dal baldacchino decorato.
Un aura di incoscienza avvolge tutta la scena. Oggi come duemila anni fa l’uomo stenta a concepire la grandezza assoluta dell’evento Corpus Domini.
Inconsapevolmente un intero paese si accinge a ricevere nel proprio corpo il Corpo salvifico del Cristo.
Questo fanno gli “Angeli” di Orsara!
Un paesaggio urbano ed umano completo che tradisce e rispecchia tutte le sfaccettature del territorio che li circonda, delle ubertose valli, dei fitti boschi e degli scroscianti torrenti.
Il legame, oserei dire l’amore che si nutre per il Territorio non finisce, né muore, ma si alimenta dell’esperienza nei rapporti con i luoghi e le persone che li popolano.
Questo legame tradisce l’altra mia anima, quella del “territorialista” e mi azzardo così a coniare un termine probabilmente sconosciuto al vocabolario. Come quegli animali che conoscono perfettamente il loro territorio e lo difendono dalle intrusioni altrui, il “territorialista” ama, studia, comprende e difende il suo territorio nella autenticità ed originalità del patrimonio, materiale e immateriale, in esso stratificatisi nel più spettacolare dei palinsesti.
Questa mostra è un’altra grande occasione emozionale per cucire sullo zaino del viaggiatore appassionato un altro scudetto, importante frammento, di una cultura che è al contempo locale ed universale.
Nella terra di San Michele Arcangelo (non a caso proprio ad Orsara è situata una delle tre Grotte miracolose della Daunia dedicate al culto del Santo) questa esperienza può costituire la parafrasi della conchiglia di San Giacomo decoro e simbolo dei Pellegrini.
Orsara di Puglia, di recente insignita anche della prestigiosa Bandiera Arancione del Touring Club, é uno di quei luoghi dell’Italia “minore” da scoprire e rivalutare.
Dove poter riscoprire valori, sentimenti, emozioni che altrove sopiscono. Quella provincia virtuosa che è stata sempre l’anima della nostra Italia e che rischia di scomparire per sempre.
La mostra di Alfonso delli Carri è l’ulteriore occasione di promuovere un territorio, la Provincia di Foggia, vasto e ricco di tradizioni religiose e non.
Una provincia che sta finalmente scoprendo e valorizzando anche il grande patrimonio dell’Appennino Daunio.
Questa breve frase era scritta nell’ultima mostra che ho visto dell’ormai scomparso Mario Giacomelli, un pilastro della fotografia italiana e internazionale.
Nelle tre parole “ricordatevi di ricordare” c’è l’essenza di questo lavoro fotografico.
Queste foto hanno già alcuni anni, ma dopo tanto tempo ho deciso di presentarle, complice il Comune di Foggia che mi ha messo a disposizione la “Sala Grigia” del Palazzetto dell’Arte, e complici anche gli amici del Foto Cine Club di Foggia che conoscono queste foto da molto tempo e si chiedevano come mai non le avessi mai presentate prima.
Alcuni lavori, per me, devono maturare e crescere, per poi essere presentati in pubblico con le giuste motivazioni.
Il titolo originario della mostra era “Corpus Domini”, chiaro riferimento al momento religioso evocato a Orsara di Puglia (Fg), con i suoi cittadini protagonisti principali di queste foto, poi mi è sembrato scontato quindi ho cercato un titolo che nella mia mente potesse risultare più originale, ma comunque coerente con il lavoro proposto.
E con il determinante aiuto di mia moglie Laura nasce il titolo di questo lavoro.
Il giorno degli angeli.
Parlando con un “amante arrabbiato” delle tradizioni daune l’Avv. Michele Clima, prima di tutto amico, con cui condivido alcuni progetti culturali e fotografici mi sono reso conto della poca attenzione che ognuno di noi ripone nelle tradizioni popolari.
Mi spiace mettere in evidenza l’aspetto amaro di questo lavoro.
Ci sono gli “angeli custodi”, in questo caso i custodi delle tradizioni.
Le amministrazioni locali si dimenticano di coltivare alcune tradizioni, solo perché le persone che vivono in quei luoghi a loro volta dimenticano, per pigrizia non coltivano alcune tradizioni che sono l’anima e l’identità di un popolo.
Alcune regioni d’Italia hanno fatto della “tradizione” l’asse portante della propria identità e noi invece non permettiamo ai “nostri angeli custodi” nemmeno il tempo di raccontarci le loro storie, perché pigri o annoiati preferiamo correre dietro con un telefonino le notizie di un social network.
Gli “angeli custodi” di Orsara possono rendere “immortali” i ricordi, le tradizioni, e trasmetterli “ai nuovi angeli”, angeli inconsapevoli del loro ruolo che vivono quella giornata come protagonisti divertiti o annoiati, che vorrebbero stare davanti a un computer a giocare e che invece si trovano a vivere il giorno della loro “prima comunione”.
Quando smetteremo di “ricordarci di ricordare” perderemo per sempre la nostra identità culturale, perderemo i nostri riferimenti, quelli che ci hanno reso quello che siamo.
Noi cittadini della Daunia dovremmo imparare da quei “popoli” tenacemente ancorati alle proprie identità, toscani, umbri, bretoni e via dicendo, dovremmo arrabbiarci di vedere infissi in legno sostituiti da “anticorodal”, parcheggi di automobili che invadono piazze storiche.
Dobbiamo appunto non dimenticarci mai di ricordare.
Spero che questo lavoro diventi un “piccolo angelo custode” del nostro tempo.
Quando vedo e sento parlare di Angeli, mi piace commentare perché ci credo e scrivo su di loro. Alfonso Delli Carri, caro maestro del tempo e “istruttore” d’immagini, complimenti per questi scatti di vita. Cerco d’imparare il più possibile e quando l’affiancamento è svolto da Maestri diventa tutto più semplice.
Espedito Rainone (“allievo” Foto Cine Club Foggia).
Gli Angeli Custodi
del dott. Emiliano Cirillo
Giornalista Rai
Scatti forti e penetranti, carichi di suggestione. Momenti intensi e forti, intrisi di emozione. Volti immortalati, ruvidi, alternati a sguardi freschi e spensierati. Una vecchietta scruta il suo passato, con occhi lividi e rugosi. Guarda ammirata quelli della nuova generazione. Gli scatti di Alfonso delli Carri colgono la forte contraddizione popolare trasmessa dalla festa del Corpus Domini in Orsara di Puglia (FG).
Il confronto è fra vecchio che tramonta e il nuovo che avanza. Fra quanti hanno visto scorrere per svariati decenni i momenti più intensi della festa, alla quale in passato hanno dato un notevole contributo di partecipazione.
Oggi quella degli anziani di Orsara è una presenza solo simbolica, storica, quasi istituzionale.
Vivono la festa senza coinvolgimento. Qualcuno è solo, seduto sui gradini di casa, altri sono affacciati al balcone. Altri ancora sono in gruppo, sempre seduti a raccontare qualcosa davanti all’uscio delle abitazioni.
E guardano con ammirazione i ragazzini vestiti con saio di colore bianco, il colore della purezza.
Popolano le strade e prendono parte attivamente alla processione. Sono diventati loro i protagonisti della nuova ribalta.
Le fotografie di Alfonso delli Carri sembrano voler segnare il passaggio di consegne fra il vecchio e il nuovo. E Orsara vive la festa nel Corpus Domini con pacatezza e sobrietà, nel massimo rispetto della tradizione che nel tempo ha sempre caratterizzato il momento di culto popolare. La processione attraversa il paese, la gente è affacciata alle finestre, i balconi sono tappezzati con panni esposti davanti agli occhi di ognuno.
Quei panni, stesi secondo la tradizione e che fanno bella mostra al passaggio della processione del Corpus Domini.
E’ il culmine della festa di Orsara. La processione va, avanza, contamina la gente, cammina fra le strade, abbraccia tutti e tutti sono partecipi. Si avvia con morbido passo verso la chiesa madre, dove c’è una folla in attesa, sui quattro lati della piazzetta. Sale la suggestione, il momento è di quelli forti, da vivere con passione e intensità.
Orsara è tutta lì, i più giovani partecipano con uno spirito più intenso e profondo.
Gli anziani guardano e ammiccano, pensano ai loro tempi, alla loro gioventù, quando a indossare quei sai di candido colore erano proprio loro.
Oggi sono spettatori del tempo che sfugge, i loro sguardi incrociano quelli più freschi dei più giovani.
La processione va.
Il giorno degli Angeli
presentazione
dell’Avv. Michele Clima
Presidente Italia Nostra Sezione di Foggia
Una mostra sul Corpus Domini nel periodo di Natale?
Per me che ho un’anima di presepista e sono abituato a ripetere ogni anno il “rito scenografico della Grotta”, essere invitato a presentare un lavoro sul “Corpus Domini” (Corpo di Cristo) è sembrato, in un primo momento, una provocazione e subito dopo si è invece rivelata semplicemente la ratio che dovrebbe muovere ogni presepista: “incarnare Dio nella terracotta dei suoi pastori”.
Ma come può raccordarsi un evento di natura pasquale con la nascita del nostro Signore?
L’oggetto della mostra delle fotografie di Alfonso delli Carri, che conoscevo gia da alcuni anni, è la processione del Corpus Domini di Orsara Di Puglia in seno alla quale un nutrito gruppo di ragazzini, candidamente paludati di bianco, attraversano il paese per ricevere la loro prima comunione.
Come presepista dovrei essere ferrato in anacronismi e sfasature spazio-temporali, dal momento che il luogo del presepio è il non-luogo per antonomasia, dove il tempo non esiste, infatti il Redentore nasce in una grotta che si può ambientare in una Foggia ottocentesca così come in una Betlemme dell’anno zero senza la paura di commettere un errore.
L’avvicendarsi delle stagioni sembrerebbe argomento superato o anacronistico, visto che “non esitono più le stagioni!”
Ma l’uomo, così come gli animali e i vegetali, che…che se ne dica (o se ne faccia) non può fare a meno di rapportarsi ai ritmi ancestrali della natura.
Certamente l’uomo moderno ha la grande presunzione buonista di fare hamburgers sufficienti a sfamare l’umanità più uno, magari inquinando l’impossibile, e la contemporanea cattiveria di affamare tre quarti del mondo.
Sicuramente ci siamo assuefatti a vedere sulle nostre tavole frutta e verdura esotica quattro stagioni all’anno.
Viviamo un’estate “eterna” alternando vacanze lampo ai tropici e all’equatore.
Simuliamo ripetutamente i tramonti nei megamercati giapponesi, solamente perché qualcuno ha verificato la maggiore disposizione al consumo in quel preciso momento del giorno.
Tutto questo avviene nelle dinamiche che sfuggono e prescindono dalla volontà del semplice “uomo della strada”.
Ma se riflettiamo un attimo sulla microstoria che ci appartiene non abbiamo difficoltà a riscontrare che i nostri costumi sono ormai modificati fino all’inverosimile, se paragonati con quelli dei nostri avi di soli cento anni or sono.
Allunghiamo incredibilmente la nostra giornata grazie all’uso della luce elettrica, magari sottraendo numerose e necessarie ore di sonno al nostro organismo. Non temiamo più quelle stagioni né per il freddo dell’inverno, né per il caldo dell’estate, visto che abbiamo a disposizioni eserciti di termosifoni e condizionatori.
La pioggia ci fa sorridere, salvo sprofondare nel panico delle alluvioni, delle frane e degli smottamenti, sempre più frequenti e sempre dovuti al cattivo uso e sfruttamento del territorio. Non abbiamo alcun timore di patire la fame, né che le nostre riserve di cibo, sempre sovrabbondanti, possano deteriorarsi ed andare a male, dal momento che possiamo raffreddare, riscaldare, congelare, surgelare a nostro piacimento, salvo buttare nella pattumiera sempre tanto e di più.
Quanto detto spiega facilmente il rapporto falsato che l’uomo di oggi ha con la natura, i suoi saperi e i suoi tempi.
Il tempo è una convenzione e la sua organizzazione non è mai stata cosa facile. Il ciclo giorno notte e quello delle stagioni per secoli, forse per millenni sono stati l’unica realtà concreta di confronto per l’uomo.
Il calendario è il sistema convenzionale di calcolo del tempo, che da un nome ai periodi di tempo.
Già gli antichi romani, con la riforma di Numa Pompilio, adeguarono il loro calendario a quello solare, aggiungendo ai dieci mesi esistenti quelli di Gennaio e Febbraio.
Facevano iniziare l’anno con il mese di Gennaio (Ianuarius), che prendeva il nome dal Dio Giano, divinità preposta alla custodia delle porte, e più in generale ai passaggi e ai mutamenti.
L’anno romano si concludeva con la chiusura del ciclo delle stagioni con il mese di Dicembre (il “decimo” mese del vecchio calendario romano).
Il Calendario liturgico cristiano, invece, ha lo scopo di contenere le norme liturgiche che disciplinano praticamente le ricorrenze e le celebrazioni liturgiche di tutti i giorni dell’anno.
Quando questo particolare calendario si sovrappone a quello delle stagioni e della vita sulla terra, addirittura pare sovvertire l’ordine dei fattori temporali e la “consecutio temporum”. Tanto è vero che nell’arco dell’anno solare, dopo il Carnevale e le Ceneri, con la venuta della primavera il calendario liturgico celebra la Pasqua. Solo dopo cade l’evento del Corpus Domini: Corpo del Signore, ovvero l’istituzione dell’eucarestia. Quindi alla fine dell’anno, il 25 Dicembre, giunge la celebrazione della Nascita di Gesù.
Ma come può, per il calendario liturgico, risorgere il Cristo se prima non è nato e quindi non è ancora morto?
Facendo i conti con questa “sfasatura” temporale mi appare opportuno cogliere la favorevole occasione per riassumere in uno il segno del Cristianesimo, pure se in maniera anomala, sovrapponendo arbitrariamente Natale e Pasqua in una Mostra che nel periodo della nascita annunzia la morte del Signore, la Pasqua, la resurrezione e quindi il Corpus Domini .
Del resto il Cristo non muore! Finisce unicamente il suo corpo (Corpus Domini), quella parte umana del Dio che ha scelto di venire sulla terra per “incarnare il verbo”.
Solo quella parte risorgerà dopo la morte procurata al Dio dallo mano dell’uomo.
Tutto ciò si compie per dare allo stesso uomo, carnefice del suo Dio, la possibilità di salvezza. Per fare ciò Dio si serve del più fidato Apostolo, dell’Apostolo più umano e quindi maggiormente peccatore, Giuda…il Traditore (= colui che consegna).
L’uomo ha bisogno di conoscere e toccare il suo Dio, ha bisogno di tradirlo e di ucciderlo, di vederlo morire e risorgere per poter immaginare anche la propria resurrezione e la propria salvezza.
Cristo non muore! Addirittura potremmo dire che si limita a nascere e rinascere ogni anno. Nasce e basta!
Il concetto di immortalità della umanità trova un senso compiuto nella Tradizione (dal verbo latino tràdere = consegnare, trasmettere): il vecchio che tramanda il suo patrimonio al giovane.
Quest’ultimo conservando la memoria degli insegnamenti degli anziani rende immortale il patrimonio culturale dell’intera comunità.
Tradire l’insegnamento della tradizione equivale per l’uomo al suicidio o all’omicidio, è contronatura e blasfemo.
Le fotografie di Alfonso hanno il valore di un’indagine antropologica che sfonda le barriere spazio temporali ed apre una porta, un passaggio alchemico nello spazio e nel tempo dell’uomo.
I volti e i corpi degli anziani sono sereni, rilassati, fissi ed esibiscono i segni del tempo su di loro prodotti… sono spettatori ed attori ad un tempo. Gli angelici corpi dei ragazzi si muovono per le vie del natio borgo attenti al rito e pur distratti dalla presenza ingombrante (allora ancora inusuale) della macchina fotografica.
Sullo sfondo le quinte della rappresentazione fatte di pietre, di intonaci scalcinati, di porte scolorite, di scale ripide e per contraddizione pure di lenzuola e coperte ricamate. In primo piano i protagonisti sono i ragazzi dubbiosamente nascosti dietro il foglietto della messa e le ragazze pudicamente adorne del velo delle suore.
Stringono tra le mani il crocifisso aggrappati al cordone del saio bianco e scortano amorevolmente in processione il Corpo del Signore nell’ostensorio protetto dal baldacchino decorato.
Un aura di incoscienza avvolge tutta la scena. Oggi come duemila anni fa l’uomo stenta a concepire la grandezza assoluta dell’evento Corpus Domini.
Inconsapevolmente un intero paese si accinge a ricevere nel proprio corpo il Corpo salvifico del Cristo.
Questo fanno gli “Angeli” di Orsara!
Un paesaggio urbano ed umano completo che tradisce e rispecchia tutte le sfaccettature del territorio che li circonda, delle ubertose valli, dei fitti boschi e degli scroscianti torrenti.
Il legame, oserei dire l’amore che si nutre per il Territorio non finisce, né muore, ma si alimenta dell’esperienza nei rapporti con i luoghi e le persone che li popolano.
Questo legame tradisce l’altra mia anima, quella del “territorialista” e mi azzardo così a coniare un termine probabilmente sconosciuto al vocabolario. Come quegli animali che conoscono perfettamente il loro territorio e lo difendono dalle intrusioni altrui, il “territorialista” ama, studia, comprende e difende il suo territorio nella autenticità ed originalità del patrimonio, materiale e immateriale, in esso stratificatisi nel più spettacolare dei palinsesti.
Questa mostra è un’altra grande occasione emozionale per cucire sullo zaino del viaggiatore appassionato un altro scudetto, importante frammento, di una cultura che è al contempo locale ed universale.
Nella terra di San Michele Arcangelo (non a caso proprio ad Orsara è situata una delle tre Grotte miracolose della Daunia dedicate al culto del Santo) questa esperienza può costituire la parafrasi della conchiglia di San Giacomo decoro e simbolo dei Pellegrini.
Orsara di Puglia, di recente insignita anche della prestigiosa Bandiera Arancione del Touring Club, é uno di quei luoghi dell’Italia “minore” da scoprire e rivalutare.
Dove poter riscoprire valori, sentimenti, emozioni che altrove sopiscono. Quella provincia virtuosa che è stata sempre l’anima della nostra Italia e che rischia di scomparire per sempre.
La mostra di Alfonso delli Carri è l’ulteriore occasione di promuovere un territorio, la Provincia di Foggia, vasto e ricco di tradizioni religiose e non.
Una provincia che sta finalmente scoprendo e valorizzando anche il grande patrimonio dell’Appennino Daunio.
ricordatevi
di ricordare
di
Alfonso delli Carri
Questa breve frase era scritta nell’ultima mostra che ho visto dell’ormai scomparso Mario Giacomelli, un pilastro della fotografia italiana e internazionale.
Nelle tre parole “ricordatevi di ricordare” c’è l’essenza di questo lavoro fotografico.
Queste foto hanno già alcuni anni, ma dopo tanto tempo ho deciso di presentarle, complice il Comune di Foggia che mi ha messo a disposizione la “Sala Grigia” del Palazzetto dell’Arte, e complici anche gli amici del Foto Cine Club di Foggia che conoscono queste foto da molto tempo e si chiedevano come mai non le avessi mai presentate prima.
Alcuni lavori, per me, devono maturare e crescere, per poi essere presentati in pubblico con le giuste motivazioni.
Il titolo originario della mostra era “Corpus Domini”, chiaro riferimento al momento religioso evocato a Orsara di Puglia (Fg), con i suoi cittadini protagonisti principali di queste foto, poi mi è sembrato scontato quindi ho cercato un titolo che nella mia mente potesse risultare più originale, ma comunque coerente con il lavoro proposto.
E con il determinante aiuto di mia moglie Laura nasce il titolo di questo lavoro.
Il giorno degli angeli.
Parlando con un “amante arrabbiato” delle tradizioni daune l’Avv. Michele Clima, prima di tutto amico, con cui condivido alcuni progetti culturali e fotografici mi sono reso conto della poca attenzione che ognuno di noi ripone nelle tradizioni popolari.
Mi spiace mettere in evidenza l’aspetto amaro di questo lavoro.
Ci sono gli “angeli custodi”, in questo caso i custodi delle tradizioni.
Le amministrazioni locali si dimenticano di coltivare alcune tradizioni, solo perché le persone che vivono in quei luoghi a loro volta dimenticano, per pigrizia non coltivano alcune tradizioni che sono l’anima e l’identità di un popolo.
Alcune regioni d’Italia hanno fatto della “tradizione” l’asse portante della propria identità e noi invece non permettiamo ai “nostri angeli custodi” nemmeno il tempo di raccontarci le loro storie, perché pigri o annoiati preferiamo correre dietro con un telefonino le notizie di un social network.
Gli “angeli custodi” di Orsara possono rendere “immortali” i ricordi, le tradizioni, e trasmetterli “ai nuovi angeli”, angeli inconsapevoli del loro ruolo che vivono quella giornata come protagonisti divertiti o annoiati, che vorrebbero stare davanti a un computer a giocare e che invece si trovano a vivere il giorno della loro “prima comunione”.
Quando smetteremo di “ricordarci di ricordare” perderemo per sempre la nostra identità culturale, perderemo i nostri riferimenti, quelli che ci hanno reso quello che siamo.
Noi cittadini della Daunia dovremmo imparare da quei “popoli” tenacemente ancorati alle proprie identità, toscani, umbri, bretoni e via dicendo, dovremmo arrabbiarci di vedere infissi in legno sostituiti da “anticorodal”, parcheggi di automobili che invadono piazze storiche.
Dobbiamo appunto non dimenticarci mai di ricordare.
Spero che questo lavoro diventi un “piccolo angelo custode” del nostro tempo.
Quando vedo e sento parlare di Angeli, mi piace commentare perché ci credo e scrivo su di loro. Alfonso Delli Carri, caro maestro del tempo e “istruttore” d’immagini, complimenti per questi scatti di vita. Cerco d’imparare il più possibile e quando l’affiancamento è svolto da Maestri diventa tutto più semplice.
Espedito Rainone (“allievo” Foto Cine Club Foggia).